Skip to main content

"Perfect Days"

"Perfect Days" film molto bello e che invito a guardare/osservare.

Wim Wenders viene invitato a girare una serie di cortometraggi di 4-5 minuti che sappiano rappresentate i bagni pubblici di Tokyo e le loro architetture. In Giappone le toilette si presentano come "piccoli santuari di pace e dignità". A Wenders piace l'idea e trova l'attore giusto. Si chiama Koji Yakusho, uno dei più importanti attori giapponesi. Così nasce "Perfect Days" scritto con Takuma Takasaki concentrando la sceneggiatura del film su un personaggio addetto alle pulizie delle toilette di Tokyo come rappresentazione giapponese di accoglienza e di cura: Hirayama. Le mie considerazioni dopo la visione. Wenders più volte ha detto che i suoi film hanno anzitutto il fine di creare più sguardi sullo stesso tema, quindi mi legittima una certa libertà. Anzitutto ho sentito i gesti di Koij come grandi gesti e non piccoli gesti mostrati intenzionalmente dal regista senza didascalie e spettacolizzazioni: aiutare un bambino che ha smarrito la madre sospendendo il proprio lavoro (nei film di Wender ci sono sempre i bambini, come se lo sguardo dovesse sempre partire dal basso); aiutare il suo giovane apprendista donandogli dei soldi ( probabilmente con grande sacrificio per Koij) per giocarsi la serata della sua vita con una giovane ragazza; l'accoglienza per una giovane nipote che sta cercando il senso delle possibili vite percorribili: "adesso è adesso, un'altra volta è un'altra volta" ( una citazione vicina al sentimento di Tarkovskij); l'amore vissuto con una barista, cuoca, cantante e portatrice d'anima e di futuro; la cura per le piante come gesto che coltiva la bellezza della crescita; il gioco delle ombre personali, ma anche collettive (visione etico politica): due ombre sono più scure di una; la musica e la lettura come cura; la presenza di un matto, come follia (uscire da un solco) che deve necessariamente abitare ogni possibile trasformazione…ma i fotogrammi più importanti si concentrano nel finale del film dove, all'unisono, il pianto e il riso di Koij sono magistralmente rappresentati. Tenere insieme il passato e il presente è il sentimento tragico che, in diversa misura, tutti viviamo a partire dagli insegnamenti di Nietzsche e della cultura greca più in generale (l'abbraccio con la sorella mi pare significativo). Ciò che Koij ha amato, vissuto, interiorizzato, sognato nella sua vita passata è sempre presente e rappresenta il pianto, la ferita, il grande sentimento dell'infanzia e di tutto ciò che suona con le audiocassetta di quel periodo, mentre la sua vita attuale si muove in avanti (apparentemente sempre uguale, circolare) sorridendo e immaginando una relazione diversa con il mondo, anzitutto prendendosi cura in egual misura dei primi bisogni fisiologici di tutti. Fotografare la luce che dall'alto filtra tra le foglie degli alberi rende vivi i suoi sogni, non è solo retorica cinematografica. Direi un film tragico e religioso, nell'accezione più ampia e profonda del termine.
"Povere creature!"
"Foglie al vento"

Forse potrebbero interessarti anche questi articoli