Skip to main content
In evidenza

Architettura e luoghi come espressione identitaria

Sono un cartografo notturno
Stendo mappe al buio dell'insonnia
So far svanire le strade le piazze
Dentro i fiumi e i laghi,
Gli spazi dedicati al cielo
Crescono, vuoti.
Le mie mappe sono relazioni
Scolpite nella pietra dolce
Della memoria, segnano i perduti
I morti gli svaniti gli abbandonati

Ci sono case
Irriconoscibili, movimenti di terra
E di mare, fiumi straripati dalla corrente.
C'è un punto fermo in ogni mappa
Un piccolo punto nascosto che batte
E batte,Sperduto. Pulsa.Addio


Chandra Candiani, Pane del bosco, p.15

Cammino lungo il Po, il grande fiume, e penso che la nascita più importante della mia vita sia localizzabile proprio in quel luogo, davanti al fiume, dove abitai per moltissimi anni. Gli anni della formazione, dell'amore, della professione. La mia casa era davanti all'argine maestro, dopo alcuni anni, anche il mio studio professionale era davanti all'argine maestro. Di notte, quando l'autunno si sentiva nell'aria e nella luce delle prime foschie, durante la notte, la corrente del fiume risuonava in modo diverso e più intenso, era come sentire nel silenzio il vento nell'acqua, qualcosa che ti spinge avanti con potenza, qualcosa che si confonde con la frequenza cardiaca, con lo scorrere del sangue, qualcosa di questo genere. Penso che la mia prima casa simbolica sia stata questa: un luogo interiore davanti al fiume. Nasce lì il mio idioma paesaggistico e architettonico, la matrice che mi porto dentro nel filtrare tutti i luoghi che incontro e le città che vivo: una casa davanti al grande fiume. In quell'aria di solitudine urbana, scrive Gianni Celati, "siamo guidati da ciò che ci chiama e capiamo solo quello" (Celati, lungo la foce, Feltrinelli)

Gli architetti e gli urbanisti sanno l'enorme importanza del rapporto che intercorre tra corpo e spazio. Noi "misuriamo" i luoghi con il nostro corpo e quindi con i nostri vissuti e le nostre percezioni. Abitare un luogo significa ricreare continuamente uno spazio di riflessione e di ricreazione. Di riflessione perché gli oggetti e quindi anche le architetture, ci muovono, e di ricreazione perché le nostre risposte sono sempre risposte incarnate fatte di emozioni, affetti, sentimenti, rabbia, delusione, ecc. che attraversano i muri della nostra biografia. Nella casa davanti al Po, quando in inverno diventava grosso e grigio scuro e la piena invadeva tutti i boschi golenali, il paesaggio entrava in casa e mi sentivo parte di quelle golene, pronte ad accogliere i movimenti della natura dove i pioppeti tutti in fila come militari in guerra, affrontavano l'invasione del fiume che scorre ovunque e te lo senti addosso. Rovi, lamponi e rovici spesso si specchiano in questo grande e immenso riflesso di acqua.

Harry Mallgrave, docente di architettura che sta cercando di unire le progettazioni con le neuroscienze, soprattutto in uno dei suoi ultimi libri edito da Raffaello cortina "l'empatia degli spazi" sottolinea come il nostro corpo, nelle sue pregnanze emotive, a livello sia conscio che inconscio, modella il modo in cui pensiamo e agiamo nel mondo. "E' questo campo dinamico di relazioni tra mente, corpo e materia che configura la nostra comprensione precognitiva e cognitiva del mondo, invece che qualche astrazione statica della nostra presunta natura umana". Abitare un luogo significa quindi avere relazioni con gli oggetti di quel luogo e simularne i movimenti che esso evoca. Allora il luogo, come ci insegnano le neuroscienze, ma soprattutto l'esperienza vissuta, è anzitutto la costruzione di un luogo interiore, inter soggettivo ed inter corporeo. Qual è e come risuona il nostro guscio iniziale che ricerchiamo in ogni dimora nel copro della nostra vita? Gli effetti di certi spazi possono essere distruttivi a partire dal nostro corpo perché è con quello anzitutto che li abitiamo e sto pensando a tutti i "non luoghi" virtuali che quotidianamente frequentiamo. Abitiamo i suoni, le correnti d'aria, i calori, gli aromi, la luce, gli spazi con tutti gli elementi biologicamente connotati, le tante case abitate, ricostruite dall'interno come una narrazione che cerca le pareti che ci hanno contenuto o costretto. Le diverse funzioni adattive del nostro abitare gli spazi sono portatrici di una memorie incamerata nel corpo. Memorie che si confondono e si mimetizzano nelle pareti dei luoghi abitati.

La fotografa Cecilia Paredes utilizza il proprio corpo come una tela per azioni di body art. Il suo cognome, Paredes, significa «pareti» in spagnolo, e si mimetizza perfettamente alle pareti che ricrea nelle sue rappresentazione fotografiche. Le pareti contengono sempre le memorie dei corpi che hanno contenuto; nelle scelte artistiche di Cecilia mediante il body painting nella serie fotografica Landscapes, i corpi si fondono con la tappezzeria che li circonda lasciando intravedere, di volta in volta un dettaglio del proprio corpo che diventa parte integrante dello sfondo, compenetrando in esso e trasformandosi in elemento partecipativo del paesaggio. Un camaleonte.

Bechelard nella poetica dello spazio scrive che esiste per ciascuno di noi una casa onirica, una casa del ricordo, del sogno, perduta nell'ombra di un al di là rispetto al passato vero. Si direbbe un'interminabile reverie che soltanto un'opera può portare a termine. Quindi, quali spazi? Ritorno con il pensiero alla casa davanti al Po e penso all'argine maestro come una sorta di difesa psichica davanti alle potenze incontenibile perturbanti della nostra natura, una difesa sulla quale il mondo umano si incontra, si muove, cammina…ci si muove sulle difese. Tutto dipende da loro. Se troppo alte il fiume tracima rovinosamente, se troppo basse il fiume tracima nello stesso modo. Sembra un doppio legame baetesoniano. Scrive Celati che un argine in prospettiva forma la linea della terra. Come se ci fosse un prima ed un dopo quella linea immaginaria.

In ogni luogo portiamo con noi un accumulo di già visto, che ci aiuta a rinnovare la percezione del mondo anche quando i ricordo degli spazi sono più sul versante costrittivo e traumatico, che non sul versante di apertura. Il paesaggio, ci ricorda Ghirri, è un luogo dove finisce la natura ed è anche un luogo di distruzione, ma soprattutto è sempre costretto dalle nostre immaginazioni che, per quanto necessaire e vitali, necessariamente schematizzano e semplificano la complessità del mondo. Il lato misterioso e nuovo di un oggetto, ha sempre bisogno di condizioni e luoghi particolari per rivelarsi. Scrive Luigi Ghirri in Niente di nuovo sotto il sole: "forse è per questo che frammenti dispersi, intuizioni, piccoli mutamenti della luce, l'evidenza di un colore, il particolare di una facciata, si trasformano per noi in piccole certezze, un insieme di punti da unire tra loro per tracciare un itinerario possibile, come fossero i sassi di Pollicino, per ritrovare la strada di casa".

Italo Calvino racconta ne Le città invisibili delle sue città interiori come fossero viaggi verso l'amore per qualcosa di irriconoscibile, di fragile, che coinvolge tanto le metropoli che stanno coprendo il mondo, quanto i grandi ghiacciai. "Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d'un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell'economia, ma questi scambi non sono solo scambio di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi" (p.X, Mondadori).

La condizione umana è anzitutto corporea. "Il mio corpo è fatto della medesima carne del mondo" scrive Merleau Ponty; siamo percezioni e sensazioni che chiedono e cercano delle consuetudini nei luoghi che sentono come casa. Ogni giorno interiormente o esteriormente tracciamo le forme di questa vita. Un'architettura dei luoghi che ci porta a rappresentare forme della vita che abitiamo.

Si ritorna a casa, si cerca una casa, si fugge da una casa, si vive la nascita e la morte in una casa, di una casa.

Marina Abramovic, nonostante nasca in un ricchissimo appartamento inserito nella miseria della Jugoslavia di Tito, tra tutti gli ambienti, ricorda solo un ripostiglio buio che in serbo viene chiamato plakar dove spesso veniva messa in punizione. Per Marina era anche il luogo dei fantasmi buoni e della fantasia, il suo modo per attraversare i muri.

Luogo come la camera di condizionamento operante, nota a tutti come Skinner Box inventata da Frederic Skipper basandosi sugli studi di Lee Thorndike. Una casa come gabbia dove i topi venivano condizionati attraverso dei premi o delle punizione ad orientare il loro comportamento, ad orientare i loro movimenti. A partire da un comportamento che casualmente ha funzionato, i topi condizionati operativamente trovano il loro modo di sopravvivere costruendo il proprio destino. Quanto siamo condizionati dai luoghi che abitiamo? Ripenso alla mia casa davanti al Po e questa volta è più la desolazione di alcuni paesaggi disabitati e abbandonati ad invadere le mie associazioni e miei ricordi. Costruzioni meccaniche, cave, luoghi disabitati, paesini dimenticati, una sorta di brughiera padana desolante accompagnata da un sentire spirituale fatto solo di luci e atmosfere. Nell'abitare gli spazi (o esserne abitati), c'è una linea sottile che ci attraversa che va dallo spazio infinito e spirituale di Yves Klein dove il colore è il tutto, alle rotture delle pareti di Fontana, al Panopticon dove tutto è controllato, costretto, imposto, condizionato.


Casa a misura d’uomo, Michelangelo pistoletto 1965-66

I luoghi sembrerebbero santissimi, e i templi lo furono in modo assoluto e come nel vangelo di Giovanni, Dio incontra Gerusalemme nel suo disordine, chiasso, cambi valute, iniquità e mercanti di buoi: i luoghi ci abitano e noi li abitiamo spesse volte dissacrandoli. L'architettura è anche e soprattutto invisibile e ineffabile e vive dentro le nostre quotidianità e le nostre imperdonabili profanazioni. Come ci ricorda Stefano Cascavilla, nell'antica cultura romana "ogni angolo era abitato da un dio: il lar. I lares sono divinità esclusive dei luoghi, in particolare quelli civilizzati, controllati dall'uomo…". Il luogo ha una parte materiale e una immateriale, e questa prende il nome di Genius Loci. L'anima dei luoghi rappresenta l'anima della materia che intercetta il dio di uno spazio esistenziale che può, se ascoltato e onorato, tutelarci e affiancarci nel percorsi della vita.

L'architettura dei luoghi abitati è anche invisibile e ineffabile e dovremmo imparare ad orientarci attraverso i sensi e le percezioni per immaginare le forme nuove della vita che si radicano nei paesaggi del nostro passato. Claudio Parmiggiani uno dei più grandi artisti contemporanei, radica la sua arte tragica a partire dagli anni della memoria del suo passato: "Alle pareti e sui mobili della mia casa, la mia prima galleria di quadri, i ritratti dei morti; l'eredità di quella generazione che mi ha preceduto…Sono nato a Luzzara, in una casa di Via Lino Soragna. Molta parte della mia infanzia è trascorsa nella lontananza della campagna in una casa rossa, isolatissima…da quel luogo ho ricevuto il miglior insegnamento in pittura…Tutto quello che in seguito è apparso nelle mie opere proviene era quelle prime, decisive, incancellabili immagine che sono poi, davvero, le sole cose che contino e che nascono dall'emozione, vera sorgente dell'arte" (C. Parmigiani, Incipit, Umberto Allemandi, Torino, 2008, p.IX, X). La casa rossa è il centro fondante dell'arte di Parmiggiani, assente ma continuamente presente e incarnata nella vita dell'artista e in ciò che rimane della sua memoria.

Penso alla nebbia che invadeva la casa davanti al Po generalmente da Ottobre a fine Marzo. Si viveva nella nebbia, costantemente. Nebbia che aiuta ad accettare di perderci e di poter immaginare mondi diversi, mondi sugli argini. Marco Belpoliti nel suo libro Pianura, scrive che il regista Antonioni "inquadra come se il fulcro del suo interesse fosse a fianco di quello che accade, non al centro: il centro è un destino incomprensibile, dai contorni troppo vaghi." (Pianura, Einaudi, p. 50) La nebbia ti allena ad abitare le periferie e la loro poetica.Dovremmo imparare ad attraversare le città come fossimo ciechi, dentro la nebbia, a "praticare l'altrove come identità…bisogna chiudere gli occhi per cogliere l'ordine delle cose".

L'architetto Chris Downey è diventato cieco a causa di un tumore al cervello ed ha iniziato ad occuparsi di progettazione di case per non vedenti. Nasce con lui un modo di rapportarsi all'ambiente completamente diverso dove il centro della sua ricerca è soprattutto la relazione tra il dentro e il fuori. Quale migliore simbologia la relazione come ponte tra il dentro e il fuori per unire le dinamiche psichiche con le dinamiche dei luoghi e degli spazi; Una relazione che non ha più come centro di misura la vista, ma il tatto e l'udito, il senso Haptic che fa  sentire il vento e il caldo del sole.
Architecture Beyond Sight, with Chris Downey and Duncan Meerding

Scrive Gilles Clément: "Le piante si mostrano, gli animali si nascondono; noi, gli umani, abbiamo bisogno di una casa. Un'enorme protesi senza la quale saremmo disabili, malati, semplicemente villosi…sempre questo conflitto dentro me: muoversi, fermarsi. Ho fatto il giro del mondo, ho costruito una casa". Andrea Bajani ne Il libro delle case, ci racconta che esiste la casa delle parole, la casa sotto la montagna, la Casa del sesso, la Casa semovente di famiglia, La Casa di Parenti, La Casa di prigioniero, la Casa dell'adulterio, la Casa della radio, la Casa del sottosuolo, ecc. tutte case che interrogano la sua identità. Chi siamo? Di certo, sembra suggerirci Bajani, anche le nostre case e i nostri paesaggi. La casa davanti al Po portava la percezione di infinito delle piene a scontrarsi con il limite degli argini. La stessa percezione che si ha grugando il cimitero di Modena progettato da Aldo Rossi. Se ti avvicini troppo perdi il senso e l'orizzonte di quell'opera che solo se inserita in un contesto e quindi inquadrata da una giusta distanza, ne poi percepire l'enorme portata perché sa unire i limiti dell'umano, fatto di quasi niente come i mattoni "vuoti" del cimitero, con l'infinito simbolico e immaginativo della morte-oggetto elevata a qualcosa d'altro.

Il Po mi restituiva sempre il perturbante dell'imprevisto e la misura dell'umano, una visione del mondo opaca e invisibile, colma di immaginazione. Avevo il privilegio di ricreare dentro me continuamente un paesaggio nuovo, lo ricostruivo di fronte all'identico dove non c'era niente di speciale da vedere, ma tutto resisteva. Resistere alla quotidianità del semplice e del quasi nulla significa riconoscere la potenza di questi luoghi interiori, fatti di comunicazioni lontane dalle sterili virtualità di massa che anestetizzano i cervelli.Superfluo dire che il mondo onirico abita questi luoghi di sospensione. I sogni sono fatti della stessa sostanza della pianura, di quella casa davanti al Po, dove Luigi Ghirri direbbe che si sono depositate le mie immagini affettive che ritualizzo come alfabeto della mia fantasia. L'inconscio biografico, espressione spesso sintomatica di esplorazione del quotidiano, si interfaccia con i grandi miti, i grandi sogni, il grande fiume, dove, forse, ha preso vita il mio sperare e il mio sentire le architetture e i luoghi del mondo dentro una trama di relazioni molto più ampia; pensandoci bene, Il Po porta tutti verso lo stesso destino…

Ivan Paterlini
L'opera in vita...07
Il mito nel Gioco della Sabbia - Immagine e narraz....