Skip to main content

La guerra vista dalla Luna

Prima foto della Terra che sorge dalla Luna
Scriveva Luigi Ghirri: "Nel 1969 viene pubblicata da tutti i giornali la fotografia scattata dalla navicella spaziale in viaggio per la Luna, questa era la prima fotografia del Mondo. L'immagine rincorsa per secoli dall'uomo si presentava al nostro sguardo contenendo contemporaneamente tutte le immagini precedenti, tutti i libri scritti, tutti i segni decifrati e non. Questa che era sotto i nostri occhi, non era soltanto l'immagine del mondo, ma l'immagine che conteneva tutte le immagini del mondo: graffiti, dipinti, scritture, fotografie, libri, video, film…"1.

Lo scatto fotografico dalla Luna celebra, in una frazione di secondo, Tutto ciò che si pone fuori dal nostro mondo interiore e che ci guarda. In psicoanalisi si parlerebbe di un'esasperazione consapevole e radicale di una proiezione sul mondo, di tutte le Nostre proiezioni sul mondo. Cosa resta a quell'omino sulla Luna che guarda tutto il mondo, il suo mondo, fuori da sé? L'omino potrebbe capire che Tutto il mondo interiore ha una rappresentazione possibile che si pone tra il vuoto di un abisso infinito e una vicinanza viscerale, perché quel mondo abita anche dentro di lui. Quello scatto pone quindi l'abissale e il prossimo sullo stesso piano, dipende dallo sguardo, dipende da come guardo, dipende da dove mi pongo davanti al mondo.

Quell'omino sul ciglio della Luna dovrebbe essere quindi consapevole che ciò che accade a quella meravigliosa palla sferica che chiamiamo Terra accade anche dentro di lui, che ogni increspatura della Terra, ogni ghiacciaio che si scioglie, ogni sparo che si consuma tra umani, si consuma anche dentro di lui. Restare sulla Luna dunque non può funzionare come strategia di sopravvivenza e di massima difesa. L'omino dovrebbe sapere che ritirare una proiezione così radicale come il guardare il mondo dalla Luna comporta un grande peso psichico e allo stesso tempo l'unica possibilità di vita per sé e per gli altri. Già! Perché più il mondo fuori visto dalla Luna si annienta, più l'omino sente dentro di sé, progressivamente, un vuoto terribile, una mancanza nel proprio essere, segno inconfutabile che qualcosa non funziona.

Ma cosa significa guardare le guerre da vicino o da lontano, e come reagire?

Eraclito ci suggerisce che il conflitto è "padre di tutte le cose", ed è capace di aiutarci a trovare soluzioni ai contrasti. Nel frammento 80 scrive: "conflitto (lemos) / giova saperlo / è cosa comune / giustizia è contrasto (éris) / ha nascimento / tutto / da contrasto / da necessità". Il frammento sembra parlarci di un contrasto dialettico, ma non di guerre tra uomini, nelle quali i fenomeni sono artificiali e non naturali, e si manifestano in presenza di Hybris (tracotanza, violenza, superbia, arroganza, prepotenza, dismisura…) che porta proprio a eliminare i contrari. Il conflitto di cui parla Eraclito sembra garantire la coesistenza di tutte le parti, anzi, se ne nutre come garanzia di giustizia e di misura per una soluzione creativa e generativa, trascendente. Si riparte sempre poi da un nuovo conflitto…

Per non cadere nella retorica della guerra, l'omino sul ciglio della Luna si appella al mito, cercando una comprensione antica per quel vuoto che sente crescere dentro di sé proporzionalmente alla distruzione della Terra. Tira in ballo ancora Polemos, dio della guerra e uno degli epiteti di Ares (Marte per i latini), e si rammenta che questo comprende la radice di parole come disgrazia o rovina. L'uomo per natura non può non confliggere, però si ricorda che Ares è portatore non solo di conflitto, ma di guerra, di rovina e disgrazia. Per i greci Ares era un dio del quale diffidare sempre. Il suo luogo di residenza si trovava in Tracia, ai limiti estremi della Grecia, paese abitato da genti bellicose da cui tenersi lontani. Anche Atena è dea della guerra, ma lei interviene per trovare le migliori strategie e non solo per un'esaltazione della violenza… Poi l'omino pensa alle battaglie cantate da Omero, al duello tra Ettore e Achille, allo scontro tra Achille e Agamennone, all'ira folle di Aiace, a Medea che uccide i propri figli, alle tragedie shakespeariane, con Otello che uccide Desdemona, e così via. L'omino sul ciglio della Luna inizia allora a pensare che i miti non sbagliano, parlano proprio dell'animo umano, e che forse la guerra come esseri umani ci appartiene. Decide, nonostante tutto, di rimettere i piedi per terra. 

Ma come stupirsi… Basterebbe pensare alle prime riflessioni teoriche di Freud sull'aggressività come pulsione inconscia e manifestazione psichica di un bisogno (per certi aspetti di autoconservazione) che poi confluisce nell'impianto teorico di Al di là del principio di piacere, dove Eros si gioca la staffetta con Thanatos nella gara per la vita o per la morte. Del resto se Putin facesse saltare una delle centrali nucleare presenti in Ucraina sarebbe anche un attacco a se stesso e a tutta la Russia, quindi resterebbe solo Thanatos (con il carico di frustrazioni come vero detonatore), facendo franare tutte le possibili connessioni anche conflittuali e qualsiasi forma di armonia tra le parti.

Melanie Klein nel 1932 scriveva di qualità affettive buone o cattive, con il mondo esterno che è sempre in relazione con la pulsione d'amore e con quella aggressiva: a caratterizzare il comportamento è come percepiamo il mondo, e le intenzioni che ne emergono. Nelle descrizioni psicologiche della Klein, nei primi mesi di vita l'angoscia consiste anche nel timore che l'oggetto aggredito si ribelli e si vendichi sull'aggressore. Con la crescita, l'angoscia persecutoria dovrebbe però essere superata da un'angoscia depressiva, legata anche al timore di distruggere l'oggetto, l'unico modo che ci è concesso per diventare adulti e accettare la vita. Queste posizioni di scissione tra bene e male si possono ripresentare per tutta la vita ed è sempre un lavoro, un impegno, un investimento, uno sviluppo etico che riesce a rimetterle insieme. Oggi Putin è fermo ai primi mesi di vita secondo il modello del 1932 della Klein, e questo non è molto confortante per l'omino sul ciglio della Luna.

Ma c'è un'altra ipotesi di ordine clinico ancor più importante in riferimento a ciò che sta accadendo in Ucraina, e prende il nome in psicoanalisi di suicidio per delega: chi non riesce a elaborare lutti importanti della propria vita (quindi accettare di trasformarsi come dovrebbe la società russa nella rappresentanza istituzionale del suo Zar), invece di suicidarsi uccide altre persone come se non ci fossero altre scelte possibili: espellere fuori di sé, attraverso agiti, ciò che non si riesce a trasformare in sé. Il fantasma di Putin come un residuo perpetuo di un lutto mai fatto. Lo psicoanalista Racamier ne parla nel suo libro Il genio delle origini, e ricorda in tal senso – citando un affascinante libretto di Alberto Savinio (fratello di Giorgio de Chirico) – l'imperatore Tiberio che spingeva le sue vittime nel vuoto con un calcio nel didietro. Dalla scogliera di Capri dove viveva, gettava tutti i visitatori e gli schiavi che non gli piacevano: Tiberio gettava dalla rupe i suoi schiavi per sedare il terribile desiderio di suicidarsi… Mi pare che ciò che sta manifestando Putin vada estremamente vicino a queste psicodinamiche che la clinica psicoterapeutica cerca di curare… e che conosce molto bene.

Massimo Recalcati ha scritto giustamente su la Repubblica del 3 marzo scorso che "La violenza della guerra è sempre cieca. Solitamente, come l'ideologia che la ispira. Il rapporto tra ideologia e cecità è un grande tema della filosofia politica. Per la psicoanalisi l'accecamento nella visione della realtà può dipendere da diversi fattori. Uno tra questi è l'infatuazione narcisistica per se stessi. Essa agisce come una lente deformante che offre una visione distorta della realtà. Narcisismo maligno e paranoia sono termini spesso convergenti: tutto ciò che è altro da me minaccia di morte la mia sussistenza. È l'attuale posizione di Putin".

Mi pare però importante parlare anche della cecità di chi osserva la guerra da lontano e non la vive (per puro caso) "direttamente", insieme alla cecità delle parole che usiamo per descriverla. La distanza televisiva e mediatica se da un lato ci aiuta a capire, dall'altro esaspera la distanza dalle parole vere della guerra che non sono mai sufficienti per rappresentarla. È un tipo di esperienza che non può essere sostenuta dal linguaggio, costringendo le nostre percezioni ad adattarsi come in un letto di Procuste al linguaggio che abbiamo disponibile: ci sono cose della vita inenarrabili a distanza perché non possono catturarne la realtà, che sfugge perché non direttamente esperita. Quindi vi è una certa inevitabile cecità delle parole e dell'ascolto delle medesime, il che dovrebbe renderci più acuti e attenti. Sono forse i gesti più che le parole che possono metterci in contatto con ciò che sta accadendo, come ad esempio nell'esperienza riportata dalla giornalista inviata di guerra Francesca Mannocchi, quando racconta di madri russe e ucraine che si sono incontrate in una chiesa per pregare per i loro figli in guerra: testimonianze di gesti simbolici che uniscono nell'umana uguaglianza.

Un giornalista della BBC chiese a Jung se ci sarebbe stata una terza guerra mondiale. Jung rispose che dipendeva da quante persone individualmente sarebbero riuscite a reggere dentro se stessi la tensione degli opposti. Cosa significa? Significa che quante più persone riusciranno a riconoscere dentro di sé ogni possibilità umana, anche la più terribile e inenarrabile, tanto più riusciremo a evitare possibili catastrofi come quella che stiamo vedendo in questi giorni. Questo significa anche riconoscere l'Ombra della vita in se stessi per poterla distanziare, sublimare, integrare, trasformarla e renderla forma e opera vivente, insomma, farne un elemento portante per la vita.

L'omino sulla Luna, pieno di vuoto e di dolore, ormai deciso nonostante tutto a fermarsi sulla Terra, si chiede se ciò possa bastare. E partendo dal presupposto che l'esperienza sulla Luna lo ha portato a capire che il massimamente lontano (l'essere lontani fisicamente) è anche il massimamente vicino (il vivere interiormente ciò che si guarda) e che lo spazio condiviso si crea innanzitutto psichicamente e non solo fisicamente, decide di muoversi a partire dalle cose piccole, verso il vicino-prossimo e con i primi gesti possibili, coltivando un rinnovato atteggiamento interiore. Ne individua uno prendendo esempio da Etty Hillesum, scrittrice olandese vittima della Shoah, e che la guerra la visse direttamente. L'omino ogni mattina inizia così, con un semplice gesto, si prende cura di un piccolo rappresentante della natura vivente: fiore, pianta, animale… Perché, come scrisse Etty nel suo Diario, "Il gelsomino dietro casa è completamente sciupato dalla pioggia e dalle tempeste di questi ultimi giorni... ma da qualche parte dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre, espande il suo profumo tutto intorno alla tua casa".

NOTE:

1 Ghirri L., (2021), Niente di antico sotto il sole, Quodlibet: Macerata, p. 125

Riparare le ferite dell’anima ucraina e russa
La fragilità non inquina