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Il femminile negato: Parthenope tra mito e cinema

Ivan Paterlini - Vittoria Paterno

"Non c'è pensiero o affetto che si perda nel nulla.
Amori e turbamenti fluttuano nell'aria, sono nube, pulviscolo di luce. Nello schiudersi del fiore, o nel formarsi di una stella, quel che accade ha lo stesso respiro del tuo desiderio. Niente muore davvero."

Antonio Prete

Il cinema e la psicoanalisi nascono nello stesso anno: il 1895. Da una parte, i fratelli Lumière proiettano il primo film; dall'altra, Freud pubblica i suoi primi lavori sull'isteria. Entrambi inaugurano un nuovo linguaggio: fatto di immagini, associazioni libere, simboli, desideri. Entrambi aprono varchi verso l'inconscio. E proprio come il cinema, non si spiega: si vive, si attraversa. In questa esperienza visiva ed emotiva si colloca il cuore della relazione tra film e psiche.
Nelle profondità dell'anima, dove il pensiero prende forma, Wilfred Bion ci suggerisce una verità antica: le immagini sono i primi alfabeti dell'inconscio, pittogrammi luminosi della mente prima ancora che le parole trovino voce. L'immagine filmica si trasforma così in creatura vivente, in simbolo che respira e palpita. Non più semplice riflesso sulla pellicola, ma spirito che si incarna, metamorfosi perpetua che ci attraversa come un sogno lucido, come quegli archetipi che Jung vedeva emergere dalle profondità collettive dell'essere, come visioni che toccano non solo gli occhi, ma le corde più segrete del cuore. Ed è così che Parthenope, la sirena di Sorrentino, si erge dalle acque del cinema per condurci per mano attraverso i territori inesplorati della psiche, in un viaggio dove ogni fotogramma diventa specchio dell'anima che resiste a ogni tentativo di classificazione e ogni sequenza una rivelazione dell'umano.

Parthenope, attrice protagonista del film di Paolo Sorrentino

La sirena Parthenope dimorava sulle coste del golfo di Napoli. Il mito narra che, amata dal centauro Vesuvio e desiderata da Zeus, fu separata per sempre dal suo amato: Vesuvio venne infatti trasformato in un vulcano, condannato a guardarla da lontano. Parthenope, colta dal dolore, si lasciò morire, e il suo corpo approdò a Megaride, la quale divenne la città di Napoli (1).

Iolanda Stocchi, ne "Immagini, Mito e Poetica della clinica per una psicoanalisi al femminile", pone lo sguardo sulla scelta della sirena di suicidarsi a causa dell'indifferenza o del rifiuto, simboleggiando le conseguenze di una mancata integrazione del femminile nella psiche collettiva, quell'incapacità di "vedere oltre se stessi, di riconoscere un'alterità che non sia semplicemente la rappresentazione del suo mondo proiettato e riflesso, bensì un altro mondo che può contenere tanti mondi possibili".

Nel cinema di Sorrentino, Parthenope si manifesta come incarnazione vivente del mistero: nasce dalle acque primordiali di Posillipo, battezzata da quella linfa salmastra che diventerà il filo conduttore della sua esistenza, un richiamo ancestrale che l'accompagnerà lungo ogni sentiero. Parthenope sfugge a ogni gabbia definitoria, muovendosi nell'ambiguità di quei simboli primigeni che nutrono le metafore più profonde del pensiero umano. In questa stessa sospensione di senso abitano la materia e la natura, l'energia che pulsa nel cosmo, la vita che scorre inarrestabile, la salute che si rinnova, la giustizia che cerca equilibrio, la società che si trasforma.

Tutti concetti che respirano nell'indefinito, resistendo fieramente a ogni tentativo di cristallizzazione, mantenendo quella fluidità essenziale che li rende eterni e sempre sfuggenti, come l'acqua che ha visto nascere Parthenope.

La storia di Parthenope si coglie mediante l'esplorazione dei suoi movimenti animici perché, come scrive Hillman, "la storia dell'anima è un necrologio in vita, che registra la vita dal punto di vista della morte, restituendo l'unicità di una persona sub specie aeternitatis". La dimensione del tempo è una questione centrale del film: tutto nasce per morire - amori, gioventù di Parthenope, la morte del fratello, la felicità dei genitori, l'energia del capitano - ma, e qui si annida la radice segreta della cosmologia personale, tutto resiste a questa tragica consapevolezza grazie alla forza dell'Eros e dei tanti miti che lo sostengono.

Quel tempo diventa una parentesi di definizione di vita, come nel "Il Giovane Holden" di J.D Salinger, dove tutto avviene nello stesso momento, al di là e al di qua del corpo. Holden, come Parthenope, ricerca e si smarrisce, si ferma e aspetta di viaggiare, viaggiando da fermo. Il tempo che esce dal tempo, come la sua ricerca delle anatre durante l'inverno:

"- Ci passa mai vicino allo stagno di Central Park? Giù vicino a Central Park South?
- Al cosa?
- Allo stagno. Quel laghetto, cos'è, che c'è laggiù. Dove ci sono le anitre, sa?
- Sì, e allora??
- Be', sa le anitre che ci nuotano dentro? In primavera eccetera, eccetera? Che per caso sa dove vanno di inverno?"

Parthenope vuole vedere. Elegge il desiderio, di natura varia, come motore del suo principio identitario. Conscia della propria bellezza, la esplora, si chiede sin dove possa utilizzarla, anzitutto con se stessa. Ne cerca il katà métron, l'equilibrio, creando altre definizioni di sé. Parte dalla ricerca della risposta pronta, con l'inganno che può portare, ma non smette di cercare quella misura soppesando le persone incontrate sul suo cammino, fino a che incontra il professore di antropologia Marotta, con cui nasce il "Io non ti giudicherò e tu non mi giudicherai mai"

Parthenope sceglie di dire sì alla vita. Accetta l'invito del fratello per una vacanza a Capri, ha il coraggio di chiedere al celebre scrittore di cenare insieme, si abbandona al bacio appassionato con la donna velata - ma solo dopo averla vista, riconfermando l'importanza centrale dello sguardo nella sua ricerca di autenticità. La protagonista impara a seguire i propri tempi interiori, resistendo alle lusinghe affrettate di occasionali milionari o di chi vorrebbe trasformarla in attrice. È una scelta di autonomia: privilegiare il proprio ritmo esistenziale rispetto alle pressioni esterne, costruendo un percorso di vita autentico e individuativo, attraverso il fare esperienze piuttosto che opportunità apparentemente allettanti, ma superficiali.

"Siamo portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile però tutto accade solo un certo numero di volte, un numero minimo di volte."  (2)

Ciò che colpisce è proprio questo "tempo mitico" che rimane sospeso rispetto al tempo ordinario, ma radicato e incarnato nella vita reale, immanente. Come si concilia questo tempo interiore con quello lineare? Qual è, in fondo, il ritmo di vita di Parthenope? Perché Sorrentino compie un "salto" temporale? La psiche vive nel tempo infinito dell'accadere psichico: storie passate e future coesistono. Anche nei momenti più bui l'inconscio sa parlare un'altra lingua, se non lo si ascolta tutto si chiude in ripetizione coatte e sterili. Un invito a cogliere il tempo come Kairos: opportunità e apertura al possibile (3).

Cosa intende Parthenope quando dice di essere diventata adulta a Sandro (il suo primo amore) nello scambio "Lo vedi il futuro laggiù Sandrì? È più grande di me e di te", pur restando ragazza quando chiede: "Non ti piaccio più?" Forse è proprio lì lo scavo simbolico. Nello scambio col professore - "Ho abortito" / "Io ho ammazzato il preside" - sdrammatizza, ma interroga: sino a dove può spingersi la libertà? Dove si scontra con la necessità? La scelta concreta limita, ma porta a terra. Scegliere è un atto creativo e necessario.

Parthenope abbraccia il professore di Antropologia Marotta

Quando sente "il nucleo freddo e mercificato della forma", Parthenope si allontana dalla via più semplice e cerca altro. Torna al mare, allo sguardo del professore, all' "io non ti giudicherò mai".

Questo patto, fonda la possibilità stessa di condividere il dolore della giovane studentessa e del Professore, rendendo possibile il passaggio dalla lacerazione della morte alla vertigine del miracolo: l'esistenza di Parthenope non sprofonderà nel baratro scavato dal suicidio di Raimondo, ma prenderà un'altra strada, quella dell'Antropologia.

Non è in gioco proprio qualcosa del miracolo nel lavoro del lutto?

Qui si apre lo spazio del sacro come sospensione del giudizio, visione sub specie aeternitatis. È la zona liminale dove la vita diventa possibilità, non solo funzione o destino. Non è né pura realtà né simbolo: è interstizio. È margine dove si può scegliere, non cosa vivere, ma come vivere. L'aggettivo liminale significa abitare la "soglia", un confine, sia pure per qualche frammento di secondo. Il termine subliminale si riferisce ad una posizione psicologica al di sotto della soglia della consapevolezza cosciente. "Questa soglia viene varcata prima quando ci si addormenta e poi quando ci si risveglia , e in quello stato di dormiveglia, di nuovo, c'è liminalità" (4).

" E ci furono mille cose che non scelsi,
che mi arrivarono all'improvviso
e mi cambiarono la vita.
Cose belle e brutte che non cercavo,
sentieri in cui mi smarrii,
una vita che non mi aspettavo.
E scelsi, almeno, come viverla.
Scelsi i sogni per decorarla,
la speranza per sostenerla,
il coraggio per affrontarla. " (5)

Parthenope vuole raccontare del suicidio del fratello, ma sceglie di lasciarsi salvare dal miracolo della vita, un conatus destinato ad irradiarsi, una poiesis attraverso occhi per vedere e forza per continuare. L'anima sente l'anima

Tra lei e il fratello emerge il tema dell'incesto simbolico: questo archetipo, sembrerebbe risultare insostenibile per lui, oppresso dall'intensità erotica, esclusiva, totalizzante e mitica che caratterizza questa relazione. Si potrebbe affermare che l'inconscio ha prevalso sulla coscienza, bloccando così il processo di individuazione e di crescita personale. Per Jung, l'incesto simbolico rappresentava il desiderio di tornare all'origine, identificata nella madre come simbolo archetipico universale. Quando il nostro sviluppo consapevole incontra ostacoli insuperabili, tendiamo spesso a ritornare verso l'inconscio e il mondo primordiale da cui la nostra coscienza ha avuto origine. Il tema centrale è l'idea di ricomporre ciò che, a livello conscio, si è frammentato, intraprendendo un percorso di riconfigurazione interiore. Questo processo rappresenta una sorta di coniunctio oppositorum, un'unione alchemica degli opposti, mirata a espandere la consapevolezza. Tale ampliamento della coscienza permette di affrontare la vita con maggiore slancio, fiducia e autonomia. Tuttavia, durante questo viaggio di ritorno all'originesimboleggiato dall'amore che il fratello nutre per Parthenope si corre il rischio di rimanere intrappolati. In questi casi, si può essere sopraffatti da una forza universale e travolgente, capace di avvolgere l'individuo in una morsa asfissiante. Il pericolo estremo è quello di una morte psichica, una condizione di blocco esistenziale e perdita del sé. L'agito del fratello, che sceglie la morte proprio quando Parthenope si dona a un altro, apre questo tempo delicato di Parthenope come mediatrice tra mondi.

Come Holden, Parthenope immagina:

"Tutti questi bambini che giocano a qualcosa in un grande campo di segale () Sarei l'acchiappa bambini del campo di segale".

Holden e Parthenope condividono un'analoga resistenza verso la corruzione esistenziale, articolando strategie difensive che mirano alla preservazione di una dimensione pre-riflessiva dell'esperienza. La loro opposizione alla degradazione del reale si configura come tentativo di mantenere operativa una modalità percettiva non ancora compromessa dai meccanismi di adattamento sociale, quella che potremmo definire come persistenza dell'istanza infantile, Puella non socializzata. Vivono in uno spazio intermedio: né con i giovani né con i vecchi, ma nell'interezza di un archetipo che li include entrambi.

Il figlio del professore di Antropologia

Il mare di Napoli torna nel figlio del professore: mostra l'infinito della vita e la possibilità di vedere. Il mare come intenzione, il professore come bussola per la cartografia di un paesaggio interiore. Parthenope riparte da Napoli, entra nelle viscere di Spaccanapoli, sempre uguale e diversa:

" Napule è n'atu munno,
'o tiempo 'cca nun se ferma,
e chi canta e chi more,
sempe Napule adda vivere. "
(6)

Il viaggio di Parthenope è conoscere ciò che non sa, perchèlei non sa niente, ma le piace tutto. Si aggrappa a quel tutto nei momenti difficili, rimanendo lontana dal mondo ed allo stesso tempo vicina alla terra e al cielo.

Non è questione di fuggire dalla realtà, ma di coglierne le sfumature e le contraddizioni. Ad esempio, nell'incontro con il Vescovo Tesorone, "fatto per essere rifiutato", scelto per la sua "sfacciataggine".
Vescovo Tesorone, in seguito alla messa di San Gennaro

Parthenope ci trasmette un senso di desiderio e vulnerabilità, tanto contemporaneo quanto eterno. La città di Napoli (Parthenope) diventa una metafora vivente del mistero e della luce: una città che seduce nascondendosi, ma invita a essere scoperta, svelando un'essenza che può essere compresa solo coltivando, anzitutto, uno sguardo interiore. Con lei veniamo esortati a "fidarci del mistero", a lasciarci guidare dal non detto e dal non visto, dalla poesia implicitadei dettagli.

L'arte diventa la chiave di lettura privilegiata per comprendere questa danza temporale tra luce e ombra, un linguaggio capace di tradurre in segni visibili l'anima mutevole di una città che vive al ritmo del sole. Omar Galliani, uno dei maestri del disegno contemporaneo, nel suo tratto artistico esplora proprio questo dualismo che scandisce le ore di Napoli: il mistero dell'ombra che si allunga sui basoli al tramonto e l'illuminazione della luce che irrompe all'alba tra i vicoli. Proprio come Psiche deve fidarsi di Amore senza illuminarlo, così chi "vede" Napoli deve accettare che il suo fascino risieda nei movimenti cangianti delle sue ombre, nei segreti che si svelano solo a certe ore del giorno.

L'intimità del visibile e dell'invisibile è un segreto svelato a Kronos, indugiando sul tempo cronologico che in un solo respiro porta a Trento dove Parthenope antropologa si sta congedando da una lunga carriera universitaria: nell'ultima stagione della vita, interpretata dalla bravissima Stefania Sandrelli, si perde nel ricordo tra i festeggiamenti dei tifosi del Napoli. Il sorriso di Parthenope anziana è un sorriso che fa omaggio al mondo così com, così come si vede con gli occhi dell'amore per la vita vissuta.

"Ascoltare una voce dice di più della persona che ascoltiamo che non ascoltare il contenuto delle sue parole, ci connette con un sottotesto che permette un ascolto più profondo" (7).

Qual è il sottotesto di Parthenope?"L'autobiografia non è quel che facciamo della nostra vita ma quel che la vita fa di noi" (8).Sembrerebbe un inno al sapersi creati dalla vita, narrati dalla vita, respirati dalla vita, vissuti dalla vita, disegnando scenari intuiti dai volti, dai veli e da ciò che il tempo osa nei suoi giochi ermetici tra la vita e la morte, come se Napoli diventasse un capolavoro.

“Youth: la Giovinezza” di Paolo Sorrentino

 Ridefinire la vita a partire dalla vita è tema anche nel film "Youth". L'attore hollywoodiano Jimmy Tree afferma:

"Io devo scegliere. Cosa vale la pena raccontare. L'orrore o il desiderio, e ho scelto il desiderio. Voi mi avete fatto capire che non posso perdere il mio tempo sull'assurdita dell'orrore. Io voglio raccontare il desiderio, cosi puro, cosi impossibile, cosi immorale.. è quello che ci rende vivi".

Viene in mente Rainer Maria Rilke, nel Quaderno di Malte Laurids Brigge:

"Non è forse il tempo del desiderio? Non è forse l'ora in cui tutto si dà, perché tutto è troppo e tutto deve cadere?"

Quando arriva il tempo del desiderio? Quanto può accompagnare le fasi e gli anni della vita? Quella paura che accompagna chi parla di futuro che è già passato, chi si chiede se i propri gesti saranno ricordati, chi si lascia definire apatico in un'intensità di emozioni che tutto colgono.

Simone Weil, nella sua riflessione sull'amore e il desiderio, afferma che il desiderio puro è l'atto più vicino alla trascendenza, uno slancio verso ciò che è al di là del tangibile.

Come definiamo la complessità dell'intangibile?

I personaggi di Sorrentino, con il loro sguardo sul mondo, diventano capaci di osservare, custodire, resistere. Come Ursula in "Cent'anni di Solitudine", matriarca della famiglia Buendía e colonna portante del villaggio di Macondo: sopravvive alle generazioni e al tempo stesso, mitico e reale. Diventerà cieca senza che nessuno se ne accorga, ostinandosi nell'imparare in silenzio la distanza delle cose e le voci delle persone, per continuare a Vedere con la memoria.

"Ci vuole tempo per .... Ridere con la primavera negli occhi, l'infanzia nella voce, la pioggia nei libri. Una pioggia sottile scivola sulle pagine, scende nel cuore". (9)

La musica, la sceneggiatura, la fantasia e l'immaginazione diventano strumenti essenziali per capire la realtà, non in modo oggettivo, ma attraverso le infinite e complesse possibilità delle storie.

Nella scena del cannocchiale Mick, un regista in fase calante che vuole terminare il suo "testamento cinematografico" con un gruppo di giovani scrittori, dice " Quando sei giovane tutto sembra vicinissimo, quello è il futuro... quando sei vecchio invece tutto appare lontanissimo, quello è il passato."

Come scrive Søren Kierkegaard: "La vita può essere capita solo all'indietro, ma deve essere vissuta in avanti."

"Dunque sono vecchio, ma non si capisce perché sono vecchio". Che rapporto c con l'essere giovani anche se non lo si è più? "Non fa nessuna differenza!", grida Mick ai suoi giovani sceneggiatori, "Uomini, artisti, animali, piante! Siamo soltanto comparse".

Il ricordo nitido della prima caduta dalla bicicletta, le spezzate note di violino che echeggiano nei corridoi dell'albergo svizzero, gli sguardi che spiegano emozioni mai ammesse eppure complici, il ritmo scandito con la carta rossa di una caramella: un'umanità che commuove nell'immenso valore dei piccolo gesti che sanno creare la poetica della vita.

In Parthenope il desiderio è scoperta e metamorfosi; in Youth diventa memoria e sospensione del tempo; in La Grazia si fa responsabilità morale, quando Mariano De Santis deve decidere se concedere il perdono.

Il tempo interiore che Sorrentino esplora racconta dall'ebbrezza della giovinezza, al silenzio della maturità, fino alla responsabilità estrema del potere. Tutti e tre cercano la grazia che non è premio ma sguardo, mostrando che il vero viaggio della psiche umana risiede anzitutto nello sguardo con cui abitiamo il tempo.

NOTE:

(1) https://www.thenapolitaner.com/post/n-21-partenope
(2) Il tè nel deserto, Paul Bowles
(3) Le storie che curano, Il peso dell'anima – James Hillman
(4) Murray, S. (2024), Nel Mezzo della vita, Moretti & Vitali, Bergamo, p.18
(5) Rudyard Kipling
(6) Enzo Avitabile
(7) Chandra Candiani "Il Silenzio è cosa viva"
(8) Chantra Candiani "Visitatori celesti"
(9) "Attendere l'usura, e consumar se stessi? Attesa e speranza" Ivan Paterlini su Doppiozero il 24 novembre 2020
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