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I volti e i luoghi tra memoria e rappresentazione

Visages villages è un documentario francese del 2017 diretto da Agnès Varda e JR. Al Festival di Cannes 2017 ha vinto il premio de L'Œil d'or, mentre nell'ambito dei Premi Oscar 2018 ha ricevuto la candidatura nella categoria "miglior documentario".

L'idea di Visage Village somiglia molto all'arte di Dan Graham, importante performance artist e architetto statunitense, perché sa mettere in relazione l'architettura pubblica con quella privata evidenziandone l'inevitabile embricazione. Ogni luogo lavora sull'intimo dell'uomo attraverso percorsi di conoscenza. Pontalis scriveva che "ci vogliono parecchi luoghi dentro sé per avere speranza d'essere se stessi". I volti raccontati da Jean Rene e Agnès Varda nei diversi luoghi attraverso immagini ci seguono, ci narrano, ci ricordano, ci rendono visibile un luogo. Il loro documentario è un progetto poetico di relazione tra immagini/volti/segni/luoghi/tempo. Qual è il volto emergente dai luoghi dei nostri ricordi? Qual è il tempo soggettivo percepito davanti ad un'immagine che parla di uomini e donne che, semplicemente, vivono la quotidianità di luogo? Levinas scriveva che "Nell'epifania del volto dell'altro si scopre il proprio mondo nella condivisione, nella prossimità, alla portata di un gesto di complicità…" e le neuroscienze rispondono raccontandoci che l'attivazione sensomotoria dell'osservare è responsabile della possibile sintonia ed empatia: uno specchio riflettente che trasforma la nostra visione della realtà condivisa. I ritratti giganti incollati sulle pareti delle case, si sottraggono alla sensibilità post-moderna per la quale una moda vale l'altra e ti obbligano a sentire quel qualcosa di indefinibile che si aggiunge alla bellezza, quel movimento interiore che rende calda un'immagine e te la fa amare. Scrive Hadot in Plotino e la semplicità dello sguardo: "la vita è una presenza che ci previene sempre. È pre-esistenza, è sempre già lì. Non si potrebbe esprimere meglio questo concetto che ripetendo un famoso pensiero di Pascal: "tu non mi cercheresti se non mi avessi trovato". Proprio questa è l'impressione che suscitano quei ritratti incollati sui muri da Rene e Varda: si ha l'impressione di conoscerli da sempre. È un movimento interiore dal sapore mitobiografico che sa riconfigurare in una sintesi-immagine la complessità della vita di ogni persona fotografata.

Scrive Recour In tempo e racconto I: "non siamo forse inclini a vedere in tale connessione di episodi della nostra vita, delle storie non (ancora) raccontate, delle storie che chiedono di essere raccontate, delle storie che chiedono dei punti di legame con il racconto". Quei volti giganti sono anche specchio negativo perché ci rimandano nel poco della nostra immagine e del molto che magari non ci sarà, di ciò che non sei o non possiedi, di futuri non realizzabili, di infinite esperienze per poterci smarrire e riconoscere. Smarrirsi come il Marco Polo de Le città invisibili di Calvino che "immagina di rispondere che più si perdeva in quartieri sconosciuti di città lontane, più capiva le altre città che aveva attraversato per giungere fin là, e ripercorreva le tappe dei suoi viaggi, e imparava a conoscere il porto da cui era salpato…". JR e Agnès Varda in questo meraviglioso documentario, tessono anche e soprattutto la loro tela, quella che sa narrare la relazione tra generazioni diverse, che si ritrovano dentro un movimento creativo: Street Photography. Lontano dai musei, emerge così una Francia rurale e delle piccole cose, di un museo vivente dove natura, paesaggio, ritratti e poesia si intrecciano dentro il viaggio delle tante vite possibili e dei sui volti, indimenticabili. 

BIBLIOGRAFIA:
Lévinas E., Totalità e infinito, trad. di A. Dell'Asta, Jaca book, Milano, 1990
Recauer P., Tempo e racconto I, trad. it. di G.Grampa, Jaca Book, Milano, 1986 [Temps et récit I. L'intrigue et le récit historique, Seuil, Paris 1983];
Hadot P., Plotino e la semplicità dello sguardo, Einaudi, Torino, 1997 

Dialogo con Paolo Mezzadri